Un giovane architetto, Francesco Breganze, e la sua sfida: aprire uno studio di architettura a New York.
La storia di un veneto negli States, tra possibilità lavorative, sacrifici e nostalgia.
E la qualità della vita? «Meglio in Veneto»

Francesco Breganze è un giovane architetto laureato al Politecnico di Milano. Proprio il primo trasferimento, dalla sua Vicenza al capoluogo meneghino, ha permesso a Francesco di mettersi in contatto con tanti giovani provenienti da altri paesi e che con lui condividevano la passione per il design, l’architettura e la moda.
«Gli anni a Milano mi sono serviti a capire che fuori dall’Italia qualcosa si muoveva più velocemente e non semplicemente per motivi legati alla crisi, ma per diversa velocità di pensiero. Ero affascinato: noi italiani abbiamo dalla nostra cultura, tradizione, ed eleganza progettuale, ma ci manca quell’intraprendenza che iniziavo a scoprire chiacchierando con il mio inglese maccheronico e con l’aiuto di qualche birra».

Francesco Breganze termina gli studi, inizia un percorso come assistente universitario e si abilita alla professione di architetto, ma il suo sogno era sempre stato quello della Grande Mela: «Un giorno con la mia compagna abbiamo lasciato tutto e siamo partiti per vedere come sarebbe andata. Con molta fortuna e grazie al periodo di ricrescita post-crisi negli States, abbiamo entrambi trovato lavoro in due diversi studi e deciso di rimanere qualche mese. Poi è iniziato il classico iter dei visti, da tirocinante non pagato a project manager con tirocinanti da gestire dopo soli 4 anni. Questo perché in questo paese se ti impegni hai sempre una possibilità per dimostrare quello che vali, a qualunque età»

Francesco Breganze Spazio primario New YorkrioDopo 4 anni e mezzo Francesco Breganze e la sua compagna sono ancora a NY e hanno recentemente aperto uno studio tutto loro, Spazio Primario, con sede a Soho: «Le difficoltà non sono state poche, per ottenere il visto lavorativo della società abbiamo dovuto aspettare 8 mesi, ma ora siamo a pieno regime con l’attività».

Spazio Primario è nato dopo aver riflettuto e capito che le possibilità a NY non possono essere sprecate: «La città in questo momento è al culmine della sua espansione architettonica, la gente compra appartamenti come pane e la necessità di ristrutturare abitazioni e negozi è all’ordine del giorno. Si deve solo trovare il canale giusto e avere il tempo per dedicarcisi. Perciò ho deciso di aprire uno studio e di sfruttare l’ondata positiva che la città sta vivendo, cercando di mettere a frutto le conoscenze e l’esperienza professionale maturata in questi anni.
La nostra clientela si divide in due diversi gruppi: da un lato ci sono gli investitori italiani che comprano a NY e che per motivi logistici e di lingua chiamano architetti di origine italiana e, dall’altro, clienti americani affascinati dal gusto italiano.
Con l’Italia manteniamo sempre delle collaborazioni, principalmente per lo sviluppo di prodotti di design da pubblicizzare e commercializzare nel mercato americano
».

Francesco Breganze Spazio primario New YorkrioE i clienti apprezzano il vostro essere italiani, o magari proprio veneti? «Contrariamente a quello che pensiamo noi italiani, in America ci guardano con ammirazione e invidia. Come ogni tanto scherzosamente dico ai miei amici, “ho conosciuto persone che venderebbero un rene per avere anche solo un genitore italiano”. Lo stereotipo di mafia e mandolino è finito da tempo e quello che ormai vedono è il gusto che traspare da tutto ciò che il Made in Italy ancora rappresenta.
Moda, arte, storia, architettura, cibo sono diventati per loro elementi essenziali della vita quotidiana. Fortunatamente questo è quello che i nostri clienti ricercano nei nostri lavori: un tocco di italianità
».

Ma cosa significa vivere nella Grande Mela per un giovane originario della città del Palladio? «Prima di tutto significa vivere in una bolla di iperattività, dove l’energia e la frenesia ti coinvolgono e trascinano. È una città meravigliosa, che offre di tutto e in qualsiasi settore, dai musei allo sport, gli eventi, i locali notturni. Un posto estremamente “social” e che ti dà tantissimo dal punto di vista di crescita personale, ma che ti può portare all’esaurimento: una città che ti ammalia una volta e che alla lunga può usurare. Una metropoli di queste dimensioni, che vive e rimane aperta 24 ore al giorno 7 giorni su 7, che non smette mai di lavorare e che non si riposa per un istante con le sue sirene e il suo traffico, ti può portare ad un livello di stress che difficilmente avrei potuto immaginare. Come in tutto, bisogna essere capaci di trovare un giusto equilibrio».

Francesco Breganze Spazio primario New York
Pro e contro della vita da “americano” di Francesco Breganze? «Sicuramente il fatto di poter entrare in contatto con culture diverse, modi di lavorare e persone di ogni posizione ed etnia e scoprire un mondo distante da quello italiano. Poi c’è la consapevolezza che l’unione fa la forza.
Purtroppo anche i contro non sono pochi: avete mai provato a lasciare tutto quello che di più caro avevate, le vostre sicurezze, la famiglia, gli amici ed andare dall’altra parte del mondo, tornando se tutto va bene due volte all’anno? Abbiamo fatto grossi sacrifici per venire in America e per poterci restare, ma la lontananza da casa è quello che più ci pesa.
Ci manca la possibilità di prendere la macchina e con un’ora di strada essere al mare o in montagna. La libertà di scegliere se fare un fine settimana con gli amici o in famiglia, andare a sciare o farsi una passeggiata in spiaggia, senza rimanere imbottigliati per ore nel traffico.
Soprattutto se penso ad avere figli in futuro, alla necessità di far provare loro quello che ho provato io da piccolo, respirando aria buona senza pagare 20.000$ per un anno di asilo. Insomma: la qualità della vita in Veneto ci manca!
»

Ma tornando al lavoro, qui da noi la burocrazia non è amica dei giovani professionisti e imprenditori: «La burocrazia italiana con i suoi limiti, i favoritismi, la difficoltà nel riuscire a costruire qualcosa, proprio non ci mancano per niente, sebbene anche aprire un’attività negli Stati Uniti sia un “big deal”, nel senso che vieni messo costantemente alla prova. Se da business plan hai promesso 100, ogni anno devi dimostrare che hai fatto 100, altrimenti ti rispediscono a casa! Tutto è una sfida, la città è una sfida, la gente è una sfida, la lingua è una sfida. Ma forse è esattamente questo il bello: il dinamismo e l’energia di questa città ti portano ad accettare la sfida e a dare il 100% di te stesso!»

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Ilaria Rebecchi
Diploma di scuola media superiore, giornalista free lance appassionata di musica e piante, collabora saltuariamente con redazioni locali.