Amante dei viaggi dove “il pianeta riesce ad esprimersi in tutta la sua bellezza”, Pier Francesco Verlato ci regala uno straordinario reportage dalla Patagonia tra sostenibilità, natura e bellezza
Come avrete capito, questa volta non vi raccontiamo la storia di un abitante della Terra delle Meraviglie che per lavoro o scelta di vita si è trasferito fuori dai confini italiani.
Vi parliamo della storia di Pier Francesco Verlato, che è veneto di nascita e di residenza (anche se nel suo percorso, in effetti, ha vissuto per lavoro all’estero), e che qualche mese fa ha intrapreso un viaggio indimenticabile che, a sua volta, a generato una serie di interessanti spunti di riflessione sulla sostenibilità e sulla salvezza del pianeta.
Un vero e proprio reportage dalla Patagonia, insomma.
Pier, dopo avere abbandonato a 29 anni una promettente carriera in una società multinazionale perché “più mi vedevo con la cravatta, meno mi riconoscevo” e una volta ottenuto il Master of Business Administration (MBA) che lo ha portato a vivere tra Spagna e Brasile, ha deciso di ritornare in Italia, nella sua Vicenza perché gli mancavano “le città a misura d’uomo e le montagne più belle del mondo“.
Nel 2011, dopo avere fondato una società di comunicazione e formazione, ha lavorato nei settori più diversi per specializzarsi, infine, nei servizi alle farmacie. Ora la sua azienda, divenuta nel frattempo parte di un importante gruppo operante nel design e nella realizzazione di spazi retail per il quale Pier svolge anche la funzione di direttore marketing, fornisce servizi di comunicazione alle farmacie spaziando dall’allestimento del punto vendita, alla realizzazione dei materiali pubblicitari, al digitale.
Se questo non bastasse, Pier ci ricorda la sua attività di editore su internet per quanto riguarda i due siti Rust and Glory, nato dalla sua “passione per le moto vecchie, indistruttibili e… meravigliose” e Retail Design Magazine che recensisce gli spazi commerciali dal design più innovativo.
Ma soprattutto Pier ama viaggiare insieme a Alessandra, sua moglie, nei luoghi dove “il pianeta ferito riesce a esprimersi in tutta la sua straordinaria bellezza” e dove l’impatto con la natura ti lascia “stordito, col desiderio di chiudere e riaprire gli occhi per verificare che non sia soltanto un sogno“. Da questo suo amore per la natura e per la montagna, frequentata sia d’estate che d’inverno, si è sviluppata negli anni una forte coscienza ambientalista della quale non fa segreto nel reportage dalla Patagonia che ci ha inviato “con la speranza che sempre più persone possano rendersi conto che uno stile di vita in grado assicurare un’esistenza decorosa alle future generazioni si basa sull’armonia tra l’essere umano, le altre specie e le risorse che il pianeta ci mette a disposizione”
Reportage dalla Patagonia: il viaggio
“La Patagonia! È un’amante difficile. Lancia il suo incantesimo. Un’ammaliatrice! Ti stringe nelle sue braccia e non ti lascia più.” Bruce Chatwin, In Patagonia
Il viaggio
Chatwin aveva capito: la Patagonia ti abbraccia, ti strega, ti entra dentro. La diversità della Natura, alla fine del mondo, è invadente, quasi ossessiva. La civiltà si intravede, di tanto in tanto, nelle sporadiche cittadine di questa vastissima regione ma si avrebbe voglia di fuggirne, di lasciarsela alle spalle nel viaggio verso l’infinito. La Natura, questo è il centro di tutto, la Terra che ci nutre e ci dà la possibilità di prosperare e che, ultimamente, sembra volersi scrollare di dosso un’umanità avida, inquieta e fastidiosa come l’orticaria.
Non tutti coloro che vagano si perdono
Se ci si sente esploratori, vagabondi, curiosi, la Patagonia è da vivere almeno una volta. Non importa se si ha famiglia e un lavoro full-time. Se si è il CEO di una multinazionale o un avventuriero con i calzoni rappezzati. In Patagonia si è tutti uguali, importanti come l’altezza dei picchi del Cerro Torre o del Cerro Fitz Roy, o terra terra come le gelide spiagge della Terra del Fuoco. È la Natura stessa, con tutta la sua prepotenza, a definire i suoi visitatori: è lo sferzante vento patagonico che modifica i lineamenti del viso e distrugge le portiere delle automobili, è il trekking con pendenze del 45% sulle montagne del Parco Los Glaciares, o il surf con la muta da 7 millimetri nelle acque del Canale di Beagle.
Reportage dalla Patagonia: i luoghi della vita
Tutto è bellezza alla fine del mondo: dalla flora subantartica della Terra del Fuoco ai deserti ambrati della provincia di Santa Cruz, dalle pinguineras di Punta Tombo ai laghi lattiginosi nei pressi di El Calafate. È il ghiacciaio più famoso al mondo però, il Perito Moreno (dal nome del famoso esploratore), a rappresentare la vera esperienza patagonica, quella narrata da Chatwin nella sua prosa tra il mistico e il filosofico. Manca il fiato anche solo a ricordarselo, quel ghiacciaio: vivo e potente, in continuo movimento, si esibisce e parla con il suo pubblico, gli ingenui turisti increduli al suo cospetto. A piccoli pezzi si inabissa per poi riformarsi più potente nelle retrovie, verso la montagna. Della zona dei ghiacciai fanno parte anche le vette più famose del Sudamerica: il Cerro Torre e il Cerro Fitz Roy. Splendide, dolomitiche e perennemente ghiacciate hanno rappresentato un terreno di sfida per molti alpinisti straordinari, da Maestri, a Bonatti, a Chouinard. Ai loro piedi giace la cittadina più giovane del mondo, El Chaltén, trent’anni d’esistenza e un’età media dei suoi abitanti forse più bassa. Da quelle parti, le feste si fanno per la strada, fino alla mezzanotte (l’ora in cui cala il sole in Estate), con lo zaino già pronto per il trekking o l’arrampicata dell’indomani. L’aria fine e fresca si mescola al profumo della birra appena spillata. L’inglese, la lingua franca degli avventurieri, esplode nei suoi mille accenti diversi.
Disabitata, e per questo ricca
La carne è squisita in Patagonia: l’agnello è ovunque, anche nei tramezzini, e gli scrupoli etici dei turisti svaniscono al primo boccone. Forse la Patagonia, una terra lunga 5 volte l’Italia e popolata da 2,5 milioni di persone, è il posto giusto per mangiare la carne: gli animali sono tantissimi, la maggior parte allo stato brado. Per procurarsi il cibo basta aprire la finestra e sparare. Per giunta, una comodità incredibile, salvo dovere poi uscire di casa per recuperare la carcassa. La carne, dunque, è perfettamente sostenibile. In Patagonia. Ma se non ci si trova da quelle parti, vale la pena tenere a mente qualche dato: al mondo ci sono 1,4 miliardi di persone sovrappeso e sono 800 milioni coloro che soffrono la fame. Sul banco degli imputati c’è la carne e le coltivazioni intensive necessarie a sfamare gli animali negli allevamenti. Basterebbe destinare una frazione di quelle coltivazioni all’alimentazione umana e ci sarebbe da mangiare per tutti, se solo si riducesse il consumo di carne (fonte: Cowspiracy). Come si sa, i gas serra sono la principale causa del riscaldamento globale. Ebbene, quelli prodotti dagli allevamenti sono superiori a quelli del traffico su strada, aereo e navale messo insieme. La carne è la causa principale della quasi totalità delle malattie croniche, cardiache, neurodegenerative e gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo dei tumori. In Patagonia c’è quella giusta; a casa, però, pensiamoci.
Il contatto con la Natura
In Argentina, quando si va in montagna, si rispettano il bosco, i sentieri, gli animali. Nei parchi nazionali lo comunicano a gran voce, lo scrivono sulle decine di cartelli disseminati lungo i sentieri. È l’uomo l’ospite – non gli animali e gli insetti – e come tale deve comportarsi. Dunque, portare a casa l’immondizia (tutta), camminare lungo i sentieri, non condurre cani che potrebbero disturbare la fauna locale. Rispetto per l’ambiente naturale per lasciarlo il più intatto possibile. Qualunque buon osservatore e amante della montagna proverà un certo rammarico pensando alle migliaia di mulattiere, vie ferrate, vie di alta montagna italiane lungo le quali si trova di tutto, dai fazzoletti sporchi agli scarti delle barrette, dalle bottigliette di plastica alla carta di alluminio per i panini. Il Club Alpino Italiano (CAI) con i suoi trecentomila iscritti e la Guardia Forestale non riescono a comunicare e far rispettare delle regole di buon comportamento negli ambienti naturali. Forse sarebbe il caso che i vertici delle nostre organizzazioni facessero un viaggio all’estero.
Conservación Patagónica
Ho avuto la fortuna di visitare Valle Chacabuco, in Cile, uno dei numerosi parchi della Tompkins Conservation, l’organizzazione attraverso la quale Douglas e Kristine Tompkins hanno dedicato tutta la loro vita al ripristino degli ambienti naturali. Valle Chacabuco, ora ceduta al governo Cileno per la costituzione del Parque Patagonia, è un’ex-estancia (le gigantesche proprietà agricole sudamericane) di 170.000 acri, destinata alla cura, alla reintroduzione e alla gestione di specie animali quali guanaco, puma, armadillo e gatto selvatico, e di innumerevoli specie vegetali fondamentali per l’ecosistema. Gli orti e le serre destinati alla produzione di frutta e verdura biologica sono l’ultimo, necessario complemento di un luogo orientato alla massima sostenibilità e al rispetto per l’ambiente. L’imprenditore privato, fondatore di The North Face e Esprit, e la moglie ex-CEO di Patagonia (il produttore di vestiti per lo sport) hanno destinato tutto ciò in loro possesso alla conservazione degli ambienti naturali, perché “questi parchi sono il nostro vero lavoro, non le catene di negozi che abbiamo creato per vendere alla gente vestiti di cui non ha bisogno”.
Autore del Reportage dalla Patagonia e delle immagini: Pier Francesco Verlato