Si parla molto di bilinguismo in età scolare, tra falsi miti e leggende metropolitane. Qual è l’età in cui è consigliato imparare una lingua? Quali sono gli effetti positivi del bilinguismo nella formazione della mente del bambino alla luce delle ultime scoperte neuro-scientifiche? Ne abbiamo parlato con il Prof. Sangalli dell’Università di Verona e consulente per il network di scuole H-FARM International School

In occasione del secondo appuntamento del ciclo di incontri sul bilinguismo organizzato da H-FARM International Schools tenutosi al Bistrò Garibaldi di Vicenza lo scorso martedì 22 febbraio, abbiamo incontrato il Prof. Angelo Luigi Sangalli, Pedagogista con formazione specifica sugli aspetti neuropsicologici dell’apprendimento.


Abbiamo approfondito un tema molto attuale, anche se da sempre di grande interesse: il bilinguismo in età evolutiva. In una società sempre più globale, multietnica e multilingue, non è così raro che un bambino cresca esposto a più di una lingua in famiglia; tuttavia, il tema è spesso oggetto di pregiudizio e disinformazione e si sottovaluta o si mal interpreta l’opportunità che una formazione didattica internazionale può offrire. Abbiamo voluto parlarne con un esperto per fare maggiore chiarezza, perché il bilinguismo infantile porta con sé numerosi benefici.

Il cervello di un bambino alla nascita si presenta come una siepe da potare. Questo processo può cominciare tra i 6 e i 12 mesi di vita e avviene in finestre temporali ben definite. Al termine di questo periodo, denominato neuro-plastico o critico, cascano le foglie della siepe e ciò che ne rimane è una struttura ad albero molto ricca e articolata. Per imparare cose nuove, il cervello dovrà costruire dei collegamenti tra i rami già esistenti dando vita a un processo di gemmazione. Più ricco e folto di rami sarà il cervello del bambino e più facile sarà istituire collegamenti tra questi.

Questa la metafora iniziale utilizzata dal Prof. Sangalli per spiegare la plasticità del cervello dei bambini e gli effetti positivi del bilinguismo.

Professore, cosa significa davvero essere bilingue o multilingue?

Gli studi più recenti pongono grande attenzione alla terminologia: in particolare, Francois Grosjean afferma che è importante dissociarsi dall’idea che i bilingui siano la somma di due monolingue. I multilingue, infatti, utilizzano le lingue in diverse situazioni, con persone diverse e per scopi diversi; sono positivamente influenzati dalle opportunità, che permettono loro di passare da una lingua all’altra in base alle circostanze. É questo il motivo per cui non si può parlare di bilinguismo perfetto: si sviluppa e manifesta in diverse modalità in base all’età di acquisizione della seconda lingua, alla competenza, alle effettive opportunità di poterla praticare, e al momento della vita del bambino in cui questa possibilità si concretizza.
Un altro elemento che influisce sull’andamento dello sviluppo neurale di un bilingue è collegato alla corteccia uditiva, una membrana che ci permette fin dall’infanzia di tradurre i suoni che ascoltiamo e comprenderli. Nei primi sei mesi il bambino può essere esposto a tutti i suoni e a tutte le lingue del mondo: la corteccia uditiva è in grado di memorizzare qualsiasi suono provenga dell’ambiente circostante. Un bambino bilingue precoce ha una corteccia che ha lo stesso spessore di quella del bambino monolingue, ma è più ricca e folta.

Il bilinguismo può avere degli effetti negativi nello sviluppo del linguaggio o dell’apprendimento?

Fino al 1962 era sconsigliabile essere bilingui e leggende metropolitane sostenevano che l’acquisizione di una seconda lingua potesse sottrarre qualcosa alla prima, ripercuotendosi negativamente nel generale processo di apprendimento. Peal e Lambert furono i primi a parlare del bilinguismo come un beneficio con la pubblicazione di “The relation of bilingualism to intelligence”. A partire da quel momento la ricerca scientifica in materia di bilinguismo è esplosa e ha dato esiti sorprendenti. Il bilinguismo, infatti, viene associato a numerosi risultati cognitivi tra cui:

  • maggior controllo dell’attenzione;
  • memoria fonologica, di lavoro e a breve termine;
  • consapevolezza metalinguistica;
  • capacità di rappresentazione astratta e simbolica.

Il bilinguismo, inoltre, predice positivamente il ragionamento matematico e le capacità di risoluzione dei problemi. Questo è dovuto alle costanti opportunità di switch tra le due lingue, che stimolano una capacità che gli studenti possono trovare utile nella matematica. Il processo di calcolo e quello di traduzione sono piuttosto affini: l’operazione di tenere a mente uno o più numeri per un calcolo è simile allo sforzo di tenere a mente una frase in una lingua per poterla tradurre in un’altra.

Quindi in che lingua è preferibile apprendere matematica e aritmetica?

La regola generale sembra quella per cui la matematica si impara nella lingua madre, anche se nel caso dei bilingue la cosa può cambiare. É stato scientificamente dimostrato che, a seguito di una situazione di immersione continuativa nella seconda lingua, dopo 4 giorni, il ragionamento matematico del bilingue fa uno switch sulla seconda lingua e resterà immodificato fino a quando, sempre nell’insegnamento della matematica, non si riproduca un’immersione continuativa tale da riportare il ragionamento matematico alla prima lingua.

Se un bambino presenta difficoltà di apprendimento c’è il concreto rischio che peggiori nel momento in cui lo espongo a una situazione di bilinguismo immersivo?

Posso garantire che non è così. Nel 2001 uno studio canadese ha preso a campione degli alunni canadesi di età compresa tra i 9 e i 13 anni che parlano sia inglese che italiano. I bambini bilingue italiani con qualche difficoltà di apprendimento hanno punteggi ben più alti rispetto ai bambini monolingue canadesi con capacità di lettura simili; questo perché leggere una lingua diversa da quella che si sta imparando migliora, non solo nella lettura, ma anche nella scrittura in generale. I risultati suggeriscono che non è affatto dannoso utilizzare la prima lingua nell’insegnamento della scrittura della seconda lingua, specialmente tra gli studenti con scarsa competenza, in quanto il trasferimento di strategie cognitive rimane un trasferimento al positivo.

Lo switching, anche in questo caso, lascia il residuo cognitivo migliore per un bambino e conferma la tesi per cui passare da una lingua all’altra è l’allenamento migliore che si può fare per un cervello!

Ci sono particolari benefici a lungo termine o per l’età adulta?

Il bilinguismo può contribuire allo sviluppo della riserva cognitiva e, quindi, a migliorare l’efficienza dell’elaborazione cognitiva e linguistica negli anziani, generando un ritardo di 5 anni nella eventuale comparsa dell’Alzheimer.

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Redazione Sgaialand
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