Alberto Biasi: gli ambienti è la mostra in scena fino al 6 novembre al Palazzo Pretorio di Padova
“Alberto Biasi: gli ambienti”, esposizione curata da Guido Bartorelli e promossa dalla Fondazione Palazzo Pretorio Onlus, testimonia la rinnovata attenzione che storici dell’arte, pubblico e mercato stanno rivolgendo all’opera del grande artista padovano Alberto Biasi e alle ricerche di arte optical, cinetica, gestaltica o programmata, fortemente in voga negli anni ‘70.
Immaginate di riuscire a vedere qualcosa che non è visibile, un’opera d’arte non pittorica o scuoltorea, ma fatta di stimoli visivi e fasci di luce.
Fino al 6 novembre, a Palazzo Pretorio ci si può immergere in questo mondo che ha come protagonisti gli ambienti, attraverso i quali Biasi ha saputo rapportarsi con il suo pubblico non più trattandolo da semplice “spettatore”, ma coinvolgendolo in esperienze irripetibili, capaci di andare a stimolare processi profondi, a partire da quelli relativi alla struttura della percezione e del comportamento.
Con gli ambienti di Alberto Biasi, il pubblico diventa protagonista di campi cinetici, luminosi, aperti all’incanto e al divertimento che deriva dalla libera interazione.
Tra i fondatori del padovano Gruppo N, Alberto Biasi, classe 1937, è uno dei più coerenti artisti ottico cinetici europei, capace di riuscire a far vedere ciò che non è visibile, apprezzato e conosciuto in tutto il mondo:
«Quando ho iniziato ad esporre le prime opere, la reazione del pubblico era di rifiuto. Era abituato a vedere le figure, le immagini a sfondo, la prospettiva e immaginavano che solamente quella fosse arte. Quindi rifiutavano le mie opere, percependo quasi un senso di fastidio. La complessità delle invenzioni tecnologiche moderne ha cambiato questo, cambiando il modo di vedere. La tecnologia ha reso l’approccio del pubblico completamente differente, molto più immediato. Se oggi metto un bambino davanti a uno di questi quadri, la prima cosa che farà sarà rimanere fermo e ondeggiare la testa da sinistra a destra. Una volta non era così, nessuno si sarebbe mosso. Il pubblico, abituato alla pittura, guardava e se ne andava, rimaneva quasi infastidito soprattutto perché l’occhio era abituato a vedere la profondità dell’opera. Nei miei quadri, se l’approccio è statico, la profondità crea una forma di vertigine. Se invece lo si guarda con un approccio dinamico, quindi muovendosi, si coglie tutta l’essenza. Quando c’è innovazione c’è arte, e l’innovazione tecnologica dei nostri giorni permette di vedere e di apprezzare questo nuovo tipo di arte, tant’è che i giovani sono convinti che queste opere appartengano, a un tempo recente, mentre in realtà hanno oltre 50 anni»