Come è la vita di una campionessa di canottaggio che parallelamente agli studi ha rappresentato l’Italia alle Olimpiadi di Rio 2016? Alessandra Patelli si racconta
Alessandra Patelli è una 25enne nata e cresciuta a Conegliano.
A 17 anni, uno sport cambia la sua vita: il canottaggio. Oggi vive a Padova, dove studia per realizzare il sogno di diventare medico e, nel frattempo, è diventata una canottiera professionista.
Da sempre molto determinata, riesce a conciliare le sue due grandi passioni: lo sport e la medicina. Ed è proprio grazie alla sua determinazione che, a luglio 2016, è riuscita a far diventare realtà quello che per molti atleti resta solo un sogno: rappresentare l’Italia alle Olimpiadi.
Abbiamo incontrato Alessandra Patelli e ci siamo fatti raccontare la sua storia, tra libri di medicina e canoa (o, per meglio dire, come la chiama lei, la sua barca), le sue aspirazioni e, soprattutto, com’è stato vivere l’Olimpiade di Rio.
Raccontaci un po’ chi è Alessandra Patelli quando scende dalla canoa.
«Che dire di Alessandra… quando scendo dalla barca (noi canottieri ci teniamo a sottolineare la differenza tra La barca, quella nostra, e la canoa) sono una ragazza come tante altre. Studio medicina all’Università di Padova e proprio lo studio è l’attività alla quale dedico la maggior parte del mio tempo fuori dall’acqua. Mi piace molto il cinema e, perché no, ogni tanto uscire a bere uno spritz in compagnia»
Com’è nata la tua passione per il canottaggio?
«Mi sono avvicinata al canottaggio a 17 anni, durante un soggiorno estivo in America di tre settimane. La ragazza che mi ospitava faceva canottaggio. Un giorno mi ha proposto di accompagnarla ed io, che sono sempre stata una sportiva, ho accettato. Così, pur non sapendo assolutamente che sport fosse (a Conegliano, la mia città natale, dove ho vissuto fino a 19 anni, il canottaggio non esiste), me ne sono appassionata. Ho notato fin da subito come mi venisse naturale e, tornata in Italia, mi sono tesserata alla Società Canottieri Sile di Treviso»
La vita dell’atleta professionista è molto impegnativa. Come fai a conciliare sport e studio?
«Non posso negare che sia stato difficile portare avanti le mie due grandi passioni, lo sport e la medicina. Entrambe richiedono molto impegno e, soprattutto, tempo. Quante volte ho desiderato che le mie giornate potessero durare 36 ore! Ci vuole tanta organizzazione e, talvolta, bisogna essere disposti a sacrificare qualche ora di sonno o qualche uscita in compagnia. Io, per fortuna, riesco a concentrarmi in ogni posto, che sia una stazione dei treni, un aeroporto, una hall di un albergo, mi metto le cuffie e con la musica mi estranio dal mondo, cercando di assimilare, tra un allenamento e l’altro, più nozioni possibili»
Hai sacrificato qualcosa nella vita per la tua passione?
«Come già accennato, sì, i sacrifici ci sono stati: ho saltato tutti i compleanni e le feste di famiglia, alla quale sono molto legata. Negli ultimi sei anni le mie vacanze sono state molto brevi e sempre con libri e vestiti per l’allenamento dietro. In tantissime occasioni ho dovuto rispondere agli inviti con un “no, non posso, non ci sono”, o “sono stanca”. Però, con il senno di poi, sono tutte cose che rifarei: quando l’obiettivo è grande i sacrifici vanno messi in conto»
Il 2016 è stato sicuramente un anno speciale per te, che hai rappresentato l’Italia alle Olimpiadi di Rio. Raccontaci la tua esperienza.
«Che dire di Rio… È difficile spiegare quanto io l’abbia desiderata e sognata e quanta gioia io abbia provato nel qualificare la barca e staccare il pass per l’Olimpiade. Rio è stata un’esperienza positiva a 360 gradi. Forse abbiamo avuto un po’ sfortuna con il lago, sempre molto ventoso ed ondoso, a causa del quale hanno dovuto posticipare le nostre gare; ma l’emozione di entrare al Maracanà appena dietro a Federica Pellegrini, la nostra porta bandiera, è qualcosa che ricorderò per sempre. Mi ha emozionato anche sentirmi parte della squadra italiana, non solo del canottaggio, ma di tutti gli sport… Conoscere nuovi atleti e realtà diverse dalla mia, mangiare in mensa vicino a Nadal, vedere persone alte 2 metri altre 1 metro e 50, ma tutti sportivi come me che hanno fatto tanti sacrifici per arrivare fino a lì. Riguardo alle mie gare, sono soddisfatta: abbiamo battuto la Francia (con la quale avevamo un conto in sospeso dall’anno prima) ed abbiamo conquistato un buon undicesimo posto. Sono anche felice di aver condiviso la mia esperienza olimpica con Sara Bertolasi, con la quale sono in barca da agosto 2015, con cui ho condiviso tante esperienze e che mi ha fatta crescere tanto, sportivamente e non solo. Lo scorso 29 settembre, ho avuto anche l’onore di essere la sua testimone di nozze. Insomma, se qualcuno mi chiedesse se vorrei di tornare al 30 luglio, data di partenza per Rio, direi subito “Sì, rifacciamolo!”»
Com’è la giornata tipo di un canottiere?
«Ti posso raccontare la giornata tipo di un canottiere che allo stesso tempo studia e cerca di portare a casa qualche esame. Io mi allenavo dalle 13 alle 15 volte a settimana. La sveglia solitamente suonava intorno alle 7, ma non sono mancate le levatacce alle 5.45, quando gli allenamenti in un giorno erano 3; dopo una colazione abbondante, con carboidrati e proteine, ci si ritrovava in palestra per lo stretching. A seconda del periodo dell’anno, si fanno allenamenti più o meno lunghi e più o meno intensi. In generale comunque l’allenamento durava circa 2 ore e mezza e la mattina, se il tempo lo permetteva, si usciva sempre in barca. Rientrati dalla barca, doccia e ci si avviava subito in albergo per il pranzo. La parte più difficile viene proprio ora: mentre la maggior parte dei miei colleghi prima dell’allenamento del pomeriggio dormiva e si riposava, io mi mettevo a studiare. Certo, non posso negare di aver ceduto anch’io molte volte al sonno… La stanchezza era tanta, ma, in periodo d’esami, quello era l’unico momento della giornata in cui potevo dedicarmi allo studio per 2 o 3 ore continuative. Poi, verso le 4, iniziava il secondo allenamento della giornata, che consisteva solitamente in corsa o bici e a seguire pesi, sempre per la durata di 3 ore circa. La sera, finalmente, arrivava la cena…qualche battuta con i compagni di squadra e poi a letto. L’unico momento di riposo era la domenica pomeriggio, che si utilizzava per recuperare un po’ le forze e per svagarsi. Per la maggior parte del tempo ho vissuto a Piediluco, paese di 300 abitanti in Umbria, bellissimo a livello estetico, ma un po’ noioso per viverci»
Cosa consiglieresti ad un giovane che vuole avvicinarsi al mondo della canoa?
«Non si può negare che il canottaggio sia uno sport di grande fatica e sacrificio. Durante gli allenamenti il tuo corpo brucia, il tuo cervello dice “Fermati!”, ma se riesci ad andare avanti e ad arrivare in fondo ti senti invincibile. Con il canottaggio capisci cosa voglia dire combattere per qualcosa e dare se stessi per l’obiettivo. Il canottaggio inoltre è uno sport che si fa all’aria aperta, spesso in laghi molto belli, e sicuramente questo è un valore aggiunto rispetto agli sport indoor. Bisogna, però, imparare anche ad avere pazienza e ad adattarsi alle condizioni esterne, capendo che non tutto è modificabile a proprio piacere. Insomma, è uno sport completo, che allena il corpo e la mente e che permette di conoscere tante persone e sentirsi parte di una squadra, quindi, ad un ragazzo che si avvicina alla mia disciplina, direi “Ottima scelta!”»
Progetti per il futuro? Vedi di più Alessandra l’atleta o Alessandra il medico?
«Come probabilmente avrete capito, questi sono stati anni in cui ho dedicato il 90% del mio tempo al canottaggio e al mio obiettivo e sogno di bambina: l’Olimpiade. Ora credo sia giunto il momento di concludere anche il mio percorso di studi: dovrò quindi ridurre gli allenamenti per portare a casa la laurea, obiettivo che spero di raggiungere per l’autunno del prossimo anno. Pensando ad un futuro più lontano, proprio perché sport e canottaggio sono la mia droga, mi piacerebbe rimanere nell’ambito sportivo e, sognando in grande, essere nello staff medico di qualche nazionale olimpica»