Fuorimoda non è solo un libro da leggere, ma un invito a riflettere sul modo in cui viviamo e consumiamo, a riprendere il controllo sulle nostre scelte e a costruire un futuro più sostenibile e giusto per tutti. È una chiamata all’azione che va oltre il singolo acquisto, puntando a un cambiamento culturale profondo e necessario.
Il vicentino Matteo Ward è una figura che ha saputo coniugare la sua esperienza nel mondo della moda con un impegno concreto verso la sostenibilità e la giustizia sociale. Nel suo libro “Fuorimoda! Storie e proposte per restituire valore a ciò che indossiamo“, edito da De Agostini, Ward ci invita a una riflessione profonda su un sistema che, purtroppo, ha perso di vista l’etica per rincorrere il profitto. Il libro, pubblicato il 7 settembre, è un viaggio attraverso i mali del settore moda e una guida per cercare di correggerli.
Ward non è solo un attivista, ma un vero e proprio innovatore che ha costruito la sua carriera sfidando il modello tradizionale di consumo e produzione della moda. Dopo anni trascorsi come manager per Abercrombie & Fitch, Ward ha deciso di abbandonare un mondo che, pur affascinante, gli sembrava sempre più ingiusto e insostenibile. È così che è nato WRÅD, un progetto che mira a educare, innovare e aiutare le aziende a ripensare il proprio impatto sociale e ambientale. Inizialmente reticente all’idea di scrivere un libro, Matteo Ward ha accettato la proposta di De Agostini e Mondadori solo quando ha trovato un punto di vista che gli permettesse di rendere il tema accessibile e comprensibile per tutti. Proprio come aveva fatto con la docu-serie Junk – Armadi Pieni coprodotta da Sky Italia e Will Media, il suo obiettivo era costruire una narrazione che non fosse soltanto critica ma anche educativa e propositiva. La moda, secondo Ward, non è solo un’industria, ma una metafora di come viviamo le nostre vite e facciamo scelte quotidiane.
Con grande lucidità, l’autore ci accompagna attraverso quattro momenti storici chiave che hanno trasformato la moda da una forma d’arte ed espressione a una macchina industriale insostenibile. Tutto inizia nel 1678, quando Luigi XIV e il suo ministro Colbert inventano le stagioni della moda per stimolare il continuo rinnovamento degli abiti, e quindi del denaro. La rivoluzione industriale, l’invenzione delle fibre sintetiche e le moderne strategie di manipolazione del desiderio collettivo sono altre tappe di un percorso che ci ha portato a produrre e consumare oltre 100 miliardi di capi all’anno, la maggior parte dei quali finisce presto dimenticata o buttata via.
Ward ci invita a riflettere sul fatto che il problema non è la moda in sé, che rimane un potente strumento di espressione personale e creatività, ma l’industria che si è sviluppata intorno a essa, schiacciando i diritti di lavoratori e devastando l’ambiente. Da qui, l’urgenza di riscrivere le regole di questo sistema.
La moda come il cibo: una questione di consapevolezza
Uno degli spunti più illuminanti di Fuorimoda è il paragone tra moda e cibo. Ward ci ricorda che, proprio come siamo diventati più consapevoli di ciò che mangiamo, dobbiamo fare lo stesso con ciò che indossiamo. Gli abiti, come il cibo, sono fatti di risorse essenziali: acqua, terra ed energia. Eppure, se siamo educati fin da piccoli a non sprecare il cibo, non ci viene mai insegnato a fare attenzione ai vestiti che indossiamo.
Questo paragone diventa particolarmente interessante quando Ward spiega di aver adattato le linee guida sull’alimentazione del Ministero della Salute, sostituendo le parole “cibo” e “alimenti” con “tessuti” e “fibre”. Le regole, dice, sono perfettamente applicabili. Ward sottolinea inoltre come il nostro corpo reagisca ai tessuti non naturali, con un aumento del 40% delle dermatiti da contatto in Italia. Questo aspetto, spesso sottovalutato, ci invita a considerare non solo l’impatto ambientale dei nostri vestiti, ma anche il loro effetto sulla nostra salute.
Il gap tra volontà e azione: il problema del valuation gap
Un altro tema centrale del libro è quello del valuation gap, ovvero la distanza tra la nostra volontà di fare scelte più etiche e la nostra effettiva capacità di agire di conseguenza. Ward ci fa notare che, nonostante la crescente consapevolezza, fattori come il potere d’acquisto e la disponibilità economica limitano le nostre possibilità di scegliere prodotti sostenibili. Come può, ad esempio, una maglietta prodotta in modo responsabile a 40 euro competere con una a 5 euro che sembra altrettanto valida?
Il piacere immediato indotto dall’acquisto, stimolato dalla dopamina, ci porta spesso a fare scelte che non considerano i costi ambientali e sociali. Questo comportamento, avverte Ward, non solo è insostenibile per il pianeta, ma lo è anche per noi stessi, perché consumiamo senza consapevolezza e ci riempiamo di oggetti che non hanno valore reale.
Con Fuorimoda, l’autore non si limita a denunciare le ingiustizie del sistema moda, ma ci offre una bussola per orientarci verso un cambiamento concreto: il libro è infatti un invito a rivalutare il nostro rapporto con i vestiti, a dare loro il valore che meritano, proprio come facciamo con il cibo. La chiave, secondo Ward, è consumare meno e meglio, scegliere con consapevolezza e fare pressione sui brand affinché cambino le loro pratiche.
Ward, però, non si ferma qui; ci sfida a ripensare l’intera industria della moda come una questione culturale, non solo economica. Solo ripristinando la moda come forma di espressione e arte, possiamo veramente darle il valore che merita e ristabilire un equilibrio tra l’etica e il commercio. Il suo messaggio finale è chiaro: il cambiamento non è un’opzione per pochi, ma una necessità collettiva.
Il testo ci esorta a fare scelte più consapevoli, a ridurre i nostri acquisti e a dare maggiore valore ai vestiti che indossiamo. Non si tratta di convincere le persone a spendere di più per capi sostenibili, ma di farci comprendere che il cambiamento parte da ognuno di noi, dalle piccole scelte quotidiane che possono fare la differenza. Fuorimoda rappresenta una guida preziosa per navigare in un mondo sempre più complesso, dove la moda non è solo una questione estetica, ma anche etica. È un invito a riflettere, a informarsi e, soprattutto, a fare la nostra parte per contribuire a un futuro più giusto e sostenibile per tutti.