Nella quiete di San Francesco della Vigna si tramanda dal lontano Duecento un’antica tradizione vinicola veneziana: nascosti tra le calli, si estendono 1600 metri quadri di terreno, destinati alla produzione di Malvasia e prosecco di Glera.

Da ottocento anni un’area a nord di Venezia, tra le calli e i campielli del sestiere di Castello, è custode di un tesoro secolare: avvolti nella quiete, i vigneti urbani del convento dei Frati Francescani Minori di San Francesco della Vigna vantano il primato di essere i più antichi della città lagunare e, oggi come allora, continuano la loro produzione di vino. Dal 2019, inoltre, il lavoro dei frati è seguito in prima persona dagli agronomi della cantina Santa Margherita e, in comune accordo, si è deciso di sostituire le vecchie viti di Teroldego e Refosco con Glera e Malvasia, nel tentativo di recuperare dei vitigni storici veneziani. 

I vigneti di San Francesco: la storia

La storia dei vigneti di San Francesco affonda le sue radici nel lontano Duecento, epoca in cui appartenevano al patrizio veneziano Marco Ziani, figlio dell’illustre doge Pietro Ziani. Fu proprio nel suo testamento, datato 25 giugno 1253, che il nobile stabilì che il terreno, la chiesa ed alcune botteghe fossero lasciati ai Frati Minori, i quali vi si stabilirono definitivamente. Perciò, la parrocchia di San Francesco della Vigna deve il suo nome al fatto che il luogo in cui sorge, in origine, era coltivato a vigneti, i più estesi e fecondi di tutta Venezia. 

Le vigne fanno quindi parte di un complesso architettonico unico, che ospita anche il convento dei Frati Minori e la Chiesa, una delle più imponenti di Venezia, opera del Sansovino e del Palladio, oltre all’Istituto di Studi Ecumenici, e la Biblioteca, punto di riferimento per gli studiosi di teologia con i suoi oltre 200mila volumi, di cui 45mila antichi, provenienti da 11 fondi di vari conventi soppressi nel Veneto, tra cui spicca San Michele in Isola, dove è stata ritrovata l’ultima copia rimasta del primo Corano stampato in arabo a Venezia. 

Tesori tra i tesori

È nei chiostri del convento che si trova il tesoro tra i tesori: uno di essi è stato adibito alla raccolta dell’acqua piovana per l’irrigazione, mentre gli altri due sono dedicati alla coltivazione di erbe aromatiche e vigneti.

Quella coltivata nel convento è un’uva ancora giovane, dall’identità non definita, e solo dal 2023 può essere considerato di vendemmia vera e propria.

Tanti sono stati gli accorgimenti presi per la coltivazione dei vigneti negli spazi del convento, a partire dalla scelta di condurre la produzione in modo biologico, fatta per rispetto del luogo. Ciò comporta il divieto di usare pesticidi: solo trattamenti naturali come rame e zolfo sono concessi. 

Per quanto riguarda il Glera, inoltre, i tecnici e gli enologi della cantina Santa Margherita hanno deciso di adottare un sistema di allevamento che richiamasse la tradizione della coltivazione delle vigne, puntando su un guyot semplice con un palo ogni vite e impostando le piante a circa un metro di distanza. E il tipo di tralcio che si è venuto a creare ricorda curiosamente il pastorale, il bastone dall’estremità ricurva usato dai sacerdoti. Il Malvasia, invece, ha un guyot a spalliera, e anche qui le viti sono più vicine, con una distanza sugli 80cm tra l’una e l’altra, perché si è scelto di puntare sulla qualità. 

Fino al 2012 la produzione dei vitigni era per il convento dei frati, e si beveva quel poco che si produceva. Ma da una decina di anni si è deciso, anche per rivalorizzare il territorio e aprirlo al mondo esterno, di porre ancora più attenzione, più lavoro e più impegno nella manutenzione. Da qui, la partnership con la cantina Santa Margherita. 

Un ambizioso e riuscito progetto di recupero e valorizzazione del nostro territorio, che ora può visitare i conventi che un tempo erano di clausura e per questo sconosciuti.

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Redazione Sgaialand
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