Tra le meraviglie della nostra terra, le ville progettate dal grande Andrea Palladio sono tra le maggiori attrazioni turistiche: ecco le ville palladiane da vedere almeno una volta nella vita
Tra le maggiori attrazioni della Terra delle Meraviglie, le ville venete sono senza dubbio ciò che colpisce maggiormente l’immaginario del turista in Veneto, in particolare le ville palladiane, progettate dal più grande architetto della storia, Andrea Palladio.
Le ville palladiane erano pensate, all’epoca della costruzione, per essere splendide residenze immerse nella campagna o tra i colli (Euganei e Berici), dove le nobili famiglie del tempo potevano sfoggiare la loro ricchezza godendo al contempo degli agi e del relax di queste imponenti, maestosi e deliziosi rifugi per il vivere quotidiano (in particolare durante la bella stagione).
Si sa, Palladio fece storia, e il suo stile sarebbe divenuto precursore delle architetture che lo seguirono nei secoli, tanto che residenze in stile palladiano, simili proprio alle ville delle zone di Vicenza, Verona, Venezia, Treviso, Rovigo e Verona, ancora oggi vengono costruite in lungo e in largo nel mondo.
Ville palladiane: alcune caratteristiche
Insieme alla città di Vicenza, 24 ville palladiane del Veneto sono state inserite, tra il 1994 e il 1996, nella lista Patrimoni dell’umanità dell’UNESCO.
Le ville palladiane si distinguono dalle ville romane e dalle ville medicee toscane: non erano destinate unicamente allo svago dei proprietari, ma erano complessi produttivi. Circondate da vaste estensioni di campi coltivati e vigneti, comprendevano magazzini, stalle e depositi per il lavoro agricolo. Di norma presentano ali laterali, le barchesse, destinate a contenere gli ambienti di lavoro, dividendo razionalmente lo spazio del corpo centrale, destinato ai proprietari, da quello dei lavoratori, in modo da non sovrapporre le diverse attività. Il corpo centrale è a sua volta suddiviso in senso verticale, dove ogni piano assolve a funzioni diverse.
Quali sono le ville palladiane da vedere almeno una volta nella vita?
L’elenco è lungo, ma intanto vi suggeriamo le più rappresentative.
A partire dalla più iconica, Villa Almerico Capra detta La Rotonda a Vicenza:
“Forse mai l’arte architettonica ha raggiunto un tal grado di magnificenza” (J. W. Goethe).
La Rotonda non è una villa, è qualcosa di più. Nei secoli visitata da poeti ed artisti, regnanti e uomini di stato, studiosi e amanti dell’arte, viaggiatori e turisti. A tutti La Rotonda ha donato un’emozione indimenticabile, quel senso di armonia e grazia a cui si risponde con un sorriso, con un silenzio. Dopo secoli La Rotonda è sempre luogo di pura bellezza capace di trasmettere ispirazione, cultura, gioia.
Palladio scriveva ne “I Quattro Libri dell’Architettura”: “Il sito è de gli ameni, e dilettevoli che si possano ritrovare, perché è sopra un monticello di ascesa facilissima, et è da una parte bagnato dal Bacchiglione fiume navigabile, e dall’altra è circondato da altri amenissimi colli, che rendono l’aspetto di un molto grande Theatro, e sono tutti coltivati, et abondanti di frutti eccellentissimi, et di buonissime viti. Onde perché gode da ogni parte di bellissime viste, delle quali alcune sono terminate, alcune più lontane, et altre, che terminano con l’Orizonte…”
Progettata e costruita su commissione per mons. Paolo Almerico intorno al 1570, la dimora passa alla famiglia Capra nel 1591. Dal 1911 è di proprietà della famiglia Valmarana che l’ha aperta al pubblico dal 1986.
Villa Emo a Fanzolo di Vedelago (Tv)
“A Fanzolo Villa del Trivigiano discosta da Castelfranco tre miglia,
è la sottoposta fabrica del Magnifico Signor Leonardo Emo.
Le Cantine, i Granari, le Stalle, e gli altri luoghi di Villa sono dall’una, e l’altra parte
della casa dominicale, e nell’estremita loro vi sono due colobare,
che apportano utile al padrone, & ornamento al luogo,
e per tutto si può andare al coperto: il che è una delle principal cose,
che si ricercano ad una casa di Villa, come è stato avertito di sopra.
Dietro à questa fabrica è un giardino quadro di ottanta campi Trevigiani:
per mezo il quale corre un fiumicello, che rende il sito molto bello, e dilettevole.
È stata ornata di pitture da M. Battista Venetiano”
(Andrea Palladio)
La collocazione di Villa Emo è incentrata su due direttrici tra loro perpendicolari, una orizzontale, costituita dalla villa stessa, e una verticale costituita dal viale, in origine completamente alberato di pioppi, che nel XVI secolo rappresentavano un importante segnale stradale per i viaggiatori di passaggio nelle terre della famiglia Emo. Dal punto di vista architettonico, nel prospetto della villa si impone subito alla vista il corpo centrale leggermente aggettante rispetto all’asse delle due barchesse e caratterizzato dai tratti distintivi della facciata classica come il pronao del tempio greco, ossia le quattro colonne, qui di ordine dorico, e il frontone decorato. Il pronao è sobrio e privo di decorazioni, quasi a sposare la pulizia formale tipica dell’ordine dorico, mentre il frontone si concede l’inserimento decorativo di due Vittorie alate, che reggono lo stemma araldico della famiglia Emo, caratterizzato da quattro fasce inclinate e alternate nei colori del rosso e dell’argentato.
Le barchesse, ovvero le due lunghe ali laterali porticate che partono dal corpo nobile della villa, rappresentano il fulcro dell’azienda agricola: due corpi di uguale misura, entrambi ritmati da undici grandi archi a tutto sesto, per ogni barchessa.
Il corpo centrale di Villa Emo è, come consuetudine nelle ville palladiane, suddiviso in tre piani, in base alle funzioni operative della villa veneta. Al piano terra si trovavano le cucine, ora sostituite da cucine moderne utilizzate un tempo per il servizio di ristorazione del dismesso albergo, oggi fruibili per gli eventi in villa.
Villa Serego (o Sarego) a San Pietro in Cariano ( Verona)
Tra le ville palladiane da vedere almeno una volta nella vita anche Villa Serego, detta anche Villa Santa Sofia, progettata da Palladio nel 1565. È dal 1996 nella lista dei patrimoni dell’umanità dell’UNESCO, assieme alle altre ville palladiane del Veneto.
Il committente è il veronese Marcantonio Serego, che entra in possesso della proprietà di Santa Sofia nel 1552 ma che solamente dal 1565 decide di rinnovare radicalmente il complesso edilizio ereditato dal padre. Poche e frammentarie sono le notizie che riguardano le vicende costruttive del complesso, che venne realizzato solo in piccola parte rispetto alla grande estensione disegnata da Palladio nei Quattro libri dell’architettura (1570): meno della metà del cortile rettangolare e in particolare la sezione settentrionale.
Nel 1740 Francesco Muttoni poté vedere il tracciato dell’intero cortile scandito dalle basi già poste in opera delle colonne che avrebbero dovuto completarlo. È dunque ipotizzabile che con la morte di Marcantonio negli anni ottanta del Cinquecento i lavori siano stati definitivamente interrotti, anche se pare dimostrata la volontà di concludere almeno la parte del complesso riservata agli appartamenti signorili.
Entro la metà dell’Ottocento la villa subì notevoli mutamenti a opera dell’architetto Luigi Trezza: nuovi ambienti abitabili vennero ad aggiungersi lungo il lato occidentale dell’edificio, innestandosi al tratto originale cinquecentesco e in parte manomettendolo, mentre alle testate del cortile lasciate incompiute veniva data un’immagine definitiva facendo girare trabeazione e balaustra.
Isolata all’estremo occidente della “geografia palladiana” del Veneto e una delle ultime fabbriche di villa progettate da Palladio, Villa Serego rappresenta per molti versi un episodio eccezionale. A differenza della villa-tipo palladiana, generalmente un organismo fortemente gerarchizzato e dominato dal “pieno” della casa dominicale, Palladio preferisce qui articolare lo spazio attorno al grande “vuoto” del cortile centrale, prendendo probabilmente a modello le proprie ricostruzioni della villa romana antica.
Anziché di mattoni e intonaco, le grandi colonne ioniche sono realizzate con blocchi di pietra calcarea appena sbozzati e sovrapposti a creare pile irregolari: il tipo di materiale utilizzato (proveniente dalle cave che i Serego possedevano poco lontano) e la dimensione gigantesca delle colonne contribuiscono a generare una sensazione di potenza mai raggiunta da nessun’altra villa realizzata.
Villa Badoer a Fratta Polesine (Rovigo)
Ai confini meridionali dei territori della Serenissima, nelle piatte e nebbiose lande del Polesine, Palladio progetta nel 1554 una villa per il nobile veneziano Francesco Badoer, destinata a diventare il baricentro della vasta tenuta agricola di quasi cinquecento campi da questi ricevuta in eredità sei anni prima. Costruita e abitata nel 1556, la villa doveva quindi essere funzionale alla conduzione dei campi e insieme segno visibile della presenza, per così dire feudale, dei Badoer sul territorio: non a caso l’edificio sorge sul sito di un antico castello medievale. Palladio riesce a unire in una sintesi efficace entrambi i significati, collegando il maestoso corpo dominicale alle due barchesse piegate a semicerchio che schermano le stalle e altri annessi agricoli.
Probabilmente sfruttando le sotto-strutture del castello medievale, il corpo dominicale della villa sorge su un alto basamento, richiamando precedenti illustri come villa Medici a Poggio a Caiano di Giuliano da Sangallo, o la poco lontana villa dei Vescovi a Luvigliano di Falconetto. Ciò rende necessaria una scenografica scalinata a più rampe, la principale a scendere nella corte, e le due laterali a connettersi con le testate delle barchesse, ricordando così la struttura di un tempio antico su terrazze. Le elegantissime barchesse curvilinee sono le uniche concretamente realizzate da Palladio fra le molte progettate (per esempio per le ville Mocenigo alla Brenta, Thiene a Cicogna o villa Trissino a Meledo) e la loro forma — scrive lo stesso Palladio — richiama braccia aperte ad accogliere i visitatori: fonte antica di riferimento sono molto probabilmente le esedre del tempio di Augusto a Roma.
Nelle barchesse Palladio usa l’ordine tuscanico, adeguato alla loro funzione e alla possibilità di realizzare intercolumni molto ampi che non intralcino l’accesso dei carri. La loggia della villa mostra invece un elegante ordine ionico a enfatizzare il ruolo di residenza dominicale. Il fuoco visivo dell’intero complesso è calibrato proprio sull’asse dominato dal grande frontone triangolare retto dalle colonne ioniche, su cui campeggia lo stemma familiare, tanto che i fianchi e il retro della villa non sono assolutamente caratterizzati e presentano un disegno semplicemente utilitario.
Per il resto la struttura distributiva del corpo dominicale presenta la consueta organizzazione palladiana lungo un asse verticale, con il piano interrato per gli ambienti di servizio, il piano nobile per l’abitazione del padrone e infine il granaio. Tutte le sale sono coperte da soffitti piani e sulle pareti Giallo Fiorentino ha disegnato complessi intrecci di figure allegoriche dai significati in parte ancora oscuri.
Villa Pisani a Lonigo (Vicenza)
La realizzazione di villa Pisani a Bagnolo, a partire dal 1542, costituisce per la carriera del giovane Palladio un vero punto di svolta. I fratelli Vettore, Marco e Daniele Pisani fanno infatti parte dell’élite aristocratica veneziana, con conseguente netto salto di scala nella committenza palladiana sino ad allora soprattutto vicentina. La vasta tenuta agricola di oltre 1200 campi era di proprietà Pisani sin dal 1523, e su di essa insisteva una casa dei precedenti proprietari, i vicentini Nogarola, probabilmente assorbita nella nuova costruzione. Nel 1545 il corpo padronale risulta realizzato, e in una mappa del 1562 è visibile sul fondo del cortile una grande barchessa conclusa da due colombare, ammirata dal Vasari ma successivamente distrutta e sostituita dall’attuale struttura ottocentesca localizzata sul lato lungo, estranea al progetto palladiano.
Nel progetto di villa Pisani l’obiettivo di Palladio è ambizioso: realizzare una dimora di campagna che sia adeguata ai raffinati gusti dei fratelli Pisani e al tempo stesso in grado di offrire una risposta concreta e razionale in termini di organizzazione di tutto il complesso degli annessi agricoli. Palladio infatti inserisce in un disegno unitario casa padronale, stalle, barchesse e colombare, vale a dire quegli elementi che nella villa quattrocentesca si affacciavano sull’aia in un disegno casuale, privo di gerarchie funzionali e formali.
Al tempo stesso, le necessità pratiche della vita agricola sono tradotte in forme inedite, in un nuovo linguaggio ispirato all’architettura antica. Come un tempio romano, la villa sorge su un alto basamento che dà slancio all’edificio e accoglie gli ambienti di servizio.
La grande sala centrale a “T” è coperta a botte come gli edifici termali antichi, riccamente decorata e illuminata da un’ampia finestra termale: uno spazio radicalmente diverso, per dimensioni e qualità formale, dalle sale delle ville prepalladiane, tradizionalmente più piccole e coperte da un soffitto piano con travi di legno.
Un ricco dossier di disegni autografi, oggi conservati a Londra, documenta l’evolversi del progetto palladiano. Nelle prime ipotesi si affollano suggestioni derivanti dalle architetture antiche e moderne visitate nel viaggio a Roma appena compiuto (da villa Madama di Raffaello al Belvedere bramantesco, sino alla cappella Paolina di Sangallo) accanto a elementi più specificamente veneti: la disposizione delle stanze, la loggia serrata da due torrette come in villa Trissino a Cricoli o il potente bugnato sanmicheliano della facciata sul fiume.
Villa Angarano (Bassano del Grappa – Vi)
Nel 1548 Giacomo Angarano commissionò al suo illustre amico Andrea Palladio la progettazione della villa concepita non solo come azienda agricola, ma anche come luogo di soggiorno. Il progetto è inserito nei “Quattro Libri dell’Architettura” di Andrea Palladio e i lavori di costruzione iniziarono nel 1556, ma il corpo centrale rimase incompiuto.
Di Palladiano, nell’attuale struttura, rimangono le barchesse, che si chiudono sul corpo centrale d’impianto tipicamente barocco. Quest’ultimo fu costruito tra la fine del Seicento e i primi del Settecento dall’architetto veneziano Domenico Margutti, allievo di Baldassare Longhena. La fronte della barchessa di destra ospita la Chiesetta gentilizia di S. Maria Maddalena, anch’essa attribuita al Margutti. Le statue presenti nel complesso sono diciotto, rappresentano soggetti sacri e sono attribuite ad uno scultore di notevole pregio artistico, Giacomo Cassetti detto il Marinali (1682-1750).
La barchessa di destra accoglie anche la meravigliosa e suggestiva Scuderia, il cui recente restauro, frutto di un lavoro lungo e impegnativo, ha fatto rivivere i materiali originali. “Aladar”, “Saturno” e “Raul” sono i nomi dei cavalli che dimoravano in queste antiche Scuderie, quando per viaggiare c’erano solo le carrozze. Questi nomi sono ancora appesi sopra i loro box, resistendo nel tempo per testimoniare un passato ormai remoto.
Villa Angarano si trova nella zona più a est della DOC Breganze, nel comune di Bassano del Grappa, attualmente comprende cinquanta ettari, di cui 8 a vigneto che si estende fino alla sponda destra del fiume Brenta.
Villa Zeno (Cessalto – Tv)
Una villa progettata dall’architetto intorno al 1554, anche se non è certa la datazione del progetto di quella che è una delle ville meno conosciute e certo la più orientale (geograficamente parlando) fra le ville palladiane. Ipotesi recenti fissano il progetto al 1554, vale a dire non appena Marco Zeno acquisisce la proprietà della tenuta di Cessalto, e ciò è ben compatibile con le evidenti affinità formali con altre ville dello stesso periodo come Saraceno e Caldogno.
Sicuramente autografa, è pubblicata sui Quattro Libri con grandi barchesse ad angolo retto, in realtà non realizzate sino ai primi decenni del Seicento. Senza dubbio il progetto palladiano interviene trasformando un edificio preesistente, e ciò potrebbe spiegare alcune singolarità della pianta. Pesantemente modificata nel corso dei secoli, attualmente la villa non mostra più la finestra termale originaria, tamponata nel Settecento.
Villa Cornaro (Piombino Dese – Pd)
La famiglia Corner è attestata a Piombino sin dal 1422, quando risulta proprietaria di 310 campi trevigiani e di vari stabili annessi. Nel 1551, alla morte di Girolamo Corner, i figli Andrea e Giorgio si spartiscono i suoi beni in Piombino, ovvero un complesso di villeggiatura costruito tra il 1539 e il 1549: al primo va la casa padronale, all’altro 7 campi del «bruolo», una barchessa e metà del giardino.
La costruzione della nuova villa si deve proprio a Giorgio ma, benché erediti la proprietà nel 1551, dovrà aspettare l’anno successivo per venirne in possesso, essendo allora impegnato a Peschiera per conto della Serenissima.
Il cantiere è già in piena attività nel marzo del 1553, e nell’aprile dell’anno seguente l’edificio – pur incompleto – è abitabile, tanto da esservi documentato Palladio «la sera a zena» col padrone di casa. Quest’ultimo, in occasione del matrimonio con Elena Contarini, nel giugno dello stesso anno prende formalmente possesso della villa, o meglio del suo cantiere: a questa data risulta infatti realizzato solamente il blocco centrale, ma non le ali né il secondo ordine delle logge. Nel 1569 è documentata l’attività di operai che ancora lavorano al «bruolo».
Giorgio muore nel 1571, combattendo nella battaglia di Lepanto. Il complesso viene ereditato dal figlio Gerolamo che nel 1582 dichiara il possesso di una «casa per nostra habitatione posta in villa di Piombin con brolo e cortivo la qual casa non è finita et ne è più di spesa che di entrada». Il cantiere, dunque, subisce dei rallentamenti per ragioni finanziarie e negli anni successivi lo stesso Gerolamo preferisce lasciarlo in sospeso, dedicandosi ad altri investimenti nella zona. Solo nel 1588 decide di spendervi nuove energie: in quell’anno vengono commissionate a Camillo Mariani le statue degli antenati per il salone, mentre è del 1596 il coinvolgimento di Vincenzo Scamozzi, che si dedica alla costruzione della grande barchessa inglobando la precedente quattrocentesca.
Nel 1655 il discendente Giorgio di Gerolamo Corner dichiara che la villa non è ancora ultimata e che mette a disposizione una somma per concludere i lavori. È Andrea Corner ad occuparsene, commissionando gli stucchi a Bortolo Cabianca e le decorazioni pittoriche a Mattia Bortoloni.
Estinti i Corner ai primi dell’Ottocento, la villa passò ad altre famiglie che continuarono ad utilizzarla come residenza sino al 1951. Nel ventennio successivo attraversò un periodo di grave decadenza, durante il quale fu dapprima utilizzata come asilo parrocchiale e successivamente fu abbandonata.
Nel 1969 la villa è stata acquistata da Richard e Julia Rush di Greenwich che hanno intrapreso un’importante opera di restauro. Dal 1989 è proprietà dei coniugi Carl e Sally Gable di Atlanta.
Villa Foscari detta La Malcontenta (Mira – Ve)
La villa che Palladio realizza per i fratelli Nicolò e Alvise Foscari intorno alla fine degli anni ’50 sorge come blocco isolato e privo di annessi agricoli ai margini della Laguna, lungo il fiume Brenta. Più che come villa-fattoria si configura quindi come residenza suburbana, raggiungibile rapidamente in barca dal centro di Venezia. La famiglia dei committenti è una delle più potenti della città, tanto che la residenza ha un carattere maestoso, quasi regale, sconosciuto a tutte le altre ville palladiane, cui contribuisce la splendida decorazione interna, opera di Battista Franco e Gian Battista Zelotti. Studi recenti hanno documentato un intervento dei fratelli Foscari a favore di Palladio per la progettazione di un altare per la chiesa di San Pantalon nel 1555, che testimonierebbe un rapporto precedente alla progettazione della villa.
La villa sorge su un alto basamento, che separa il piano nobile dal suolo umido e conferisce magnificenza all’edificio, sollevato su un podio come un tempio antico. Nella villa convivono motivi derivanti dalla tradizione edilizia lagunare e insieme dall’architettura antica: come a Venezia la facciata principale è rivolta verso l’acqua, ma il pronao e le grandi scalinate hanno a modello il tempietto alle fonti del Clitumno, ben noto a Palladio. Le maestose rampe di accesso gemelle imponevano una sorta di percorso cerimoniale agli ospiti in visita: approdati davanti all’edificio, ascendevano verso il proprietario che li attendeva al centro del pronao. La tradizionale soluzione palladiana di irrigidimento dei fianchi del pronao aggettante tramite tratti di muro viene sacrificata proprio per consentire l’innesto delle scale.
La villa è una dimostrazione particolarmente efficace della maestria palladiana nell’ottenere effetti monumentali utilizzando materiali poveri, essenzialmente mattoni e intonaco. Come è ben visibile a causa del degrado delle superfici, tutta la villa è in mattoni, colonne comprese (tranne quegli elementi che è più agevole ricavare scolpendo la pietra: basi e capitelli), con un intonaco a marmorino che finge un paramento lapideo a bugnato gentile, sul modello di quello che compare talvolta sulla cella dei templi antichi.
La facciata posteriore è uno degli esiti più alti fra le realizzazioni palladiane, con un sistema di forature che rende leggibile la disposizione interna; si pensi alla parete della grande sala centrale voltata resa pressoché trasparente dalla finestra termale sovrapposta a una trifora. In quest’ultima è chiarissimo il rimando al prospetto di villa Madama di Raffaello, documentando un debito di conoscenza che Palladio non ammetterà mai direttamente.
Villa Godi Malinverni (Lugo – Vi)
Villa Godi Malinverni appartiene al ricco patrimonio artistico costituito dalle ville venete palladiane: Andrea Palladio costruì la Villa nel 1542, Gianbattista Zelotti, Battista del Moro e Gualtiero Padovano la ornarono di affreschi.
“In Lonedo luogo del Vicentino è la seguente fabbrica del Signor Girolamo de’ Godi posta sopra un colle di bellissima uista, & a canto un fiume, che serve per Peschiera. Per rendere questo sito comodo per uso di Villa vi sono stati fatti cortili, & strade sopra uolti con non piccola spesa. La fabbrica di mezo è per l’habitazione del padrone e della famiglia. Le stanze del padrone hanno il piano loro alto da terra tredici piedi, e sono in solaro, sopra quelle ui sono i granari, & nella parte di sotto, cioè nell’altezza di tredici piediui sono disposte le cantine, i luoghi da fare i vini, la cucina, & altri luoghi simili. La sala giunge con la sua altezza fin sotto il tetto, &ha due ordini di finestre. Dall’uno e dall’altro lato ui sono i cortili, & i coperti per le cose di Villa. E’ stata questa fabbrica ornata di pitture bellissime inventione da Maser Gualtiero Padovano, da Messer Battista del Moro Veronese, & da Messer Battista Veneziano; perché questo gentil’huomo, il quale è giudiciosissimo per renderla a quella eccellenza & perfezione, che sia possibile; non ha guardato a spesa alcuna, & ha scelto i più singolari, & eccellenti Pittori de’ nostri tempi.” Citazione di Andrea Palladio tratta da “I quattro Libri dell’Architettura“, 1570
Villa Godi Malinverni è la prima villa realizzata dal Palladio; il committente fu Gerolamo Godi, il quale la fece costruire per il figlio Antonio. I lavori terminarono nel 1542. La villa, che si erge sulle pendici del colle di Lonedodominando il fiume Astico, ripropone nella sua architettura alcuni elementi tipici del castello: la colombaia, quasi come una torretta, permette di vedere e controllare l’intera pianura; la scalinata centrale, principale accesso alle sale nobili, ristretta al solo arco centrale della loggia, richiama il concetto del ponte levatoio medioevale e quindi alla necessità di controllare gli ingressi agli spazi privati della famiglia Godi.
La parte anteriore della villa si presenta arretrata e affiancata da due corpi sporgenti ad angolo, ribaltando lo schema della villa a due torri, usuale nel Veneto. Nel prospetto posteriore è il corpo mediano (area del salone centrale) che avanza, caratterizzato da una serliana, realizzata in seguito a restauri del 1550, al posto dell’originale finestra termale romana. Nella pianta del corpo centrale si ripropone il concetto di simmetria, con la realizzazione di una loggia e salone centrale, come cuore della villa, e due ambienti laterali composti ciascuno di 4 sale.
Delle due ali laterali, solo quella a sinistra, a tre arcate, fa parte del progetto originario; quella a destra, più lunga, aperta da cinque archi e da altrettante finestre sovrastanti, fu realizzata alla fine degli anni Settanta del Cinquecento.