Dalla Diesel a Versace, una padovana alla conquista del mondo fashion, tra passione, determinazione e … Le Cornacchie della Moda
Una graphic designer padovana che in 10 anni ha scalato i vertici del mondo della moda internazionale, da Diesel a Versace: era il 2007 quando Silvia Scarabello ricevette una telefonata per un colloquio, preparandosi di lì a poco ad entrare a far parte della grande famiglia di Renzo Rosso.
“In Diesel ho passato anni bellissimi, è un’azienda fenomenale e di una forza comunicativa impareggiabile in Italia e all’estero. Ho imparato moltissimo: ho iniziato nella unit Kid dove con l’art director storico Peter Kempkens ho potuto imparare e sperimentare su t-shirt e tessuti seguendo anche un corso di formazione sulla tecnologia tessile. Dopo 4 anni mi sono spostata sugli accessori: avevo voglia di cambiare e mi interessava l’aspetto del “customizing“, il make up di accessori, lo studio di hardware (chiusure e dettagli metallici) e tutto ciò che è l’ambito di arricchimento di sneakers e scarpe (pellami, borchie ecc).
L’ultima esperienza dei miei dieci anni in Diesel è stata quella fondamentale per il passaggio in Versace, ossia la prima linea Back Gold, come responsabile grafico: tra frenesia, velocità, indecisione e poi di nuovo velocità, è stato un anno intenso che mi ha preparata a sentirmi pronta per provare una nuova avventura”
Arriva così l’opportunità nella maison Versace al cospetto della mitica Donatella: “Ora disegno interamente la parte grafica uomo e donna di Versace Jeans, una delle linee della maison, seguita con il mio team da Lorenza Baschieri e da Donatella in persona, sempre energetica e vulcanica. Una bella avventura che mi ha permesso di poter esprimere al meglio le mie capacità premiando il mio percorso”
Ma come funziona il lavoro del graphic designer?
“Tutto parte da un’idea, un tema, un’ispirazione, dal quale si sviluppa una ricerca fatta su vari fronti: un viaggio in qualche capitale del mondo, approfondimenti su siti di moda, arte o di altra tematica in grado di aiutare nella formulazione e nell’elaborazione. Poi inizia il processo più difficile: la sintesi. Spesso è complicato scegliere e ciò che rende unica la creazione grafica è la personalità di ogni graphic designer e la traduzione personale di un concetto. A mano e con il computer si unisce tutto come in una ricetta e, dopo varie riflessioni su colori e composizione, nasce l’elaborato grafico. La comprensione e la conoscenza del mondo tessile è fondamentale, molte volte una t-shirt nasce proprio dalla ricerca di tecniche nuove per realizzarla, o da interpretazioni e applicazioni. È un processo bellissimo e vedere realizzato ciò che poco prima esisteva solo su uno schermo è una grande soddisfazione”
Cosa significa lavorare per un grande brand del mondo fashion?
“All’inizio sei galvanizzato, poi non dico che diventa un’abitudine ma entra a far parte della tua quotidianità. Molte cose che ad alcuni sembrano pazzesche e lontane, in questi brand diventano ordinarie. Sicuramente è un tipo di lavoro dove non ci si annoia e pieno di possibilità tra viaggi, ricerca, conoscenza di persone uniche”
Una storia, quella di Silvia Scarabello, a metà tra Padova e Milano: “Il Veneto è un grande amore per me. Le mie origini, la mia famiglia, i miei amici sono un punto fermo, un insegnamento imparato anche lavorando in Diesel: mantenere sempre le proprie tradizioni senza però disdegnare le innovazioni e guardando con continua curiosità ciò che c’è oltre il nostro naso. Penso che questa sia una combinazione propulsiva. Il Veneto ha grandi qualità territoriali e creative, a volte però è necessario cercare opportunità più distanti per mettersi in discussion. Come ho fatto io andando a Milano, che non è il mio habitat natural, ma cerco di non perdere mai il lato ironico che, spesso in una grande città, con ritmi diversi, si affievolisce. Trovo che l’ironia sia una caratteristica molto veneta!”
Sicuramente sgaia, come lo è anche il progetto de Le Cornacchie della Moda, fondato da Silvia Scarabello quasi 7 anni fa:
“Un giorno ero in ufficio, e una collega stava commentando alcuni vestiti di una edizione degli Oscar quando ad un certo punto le dissi “sei proprio una cornacchia! Una cornacchia della moda”. Fu un’illuminazione. Il progetto nacque prima come blog con piccoli post, che presto diventarono veri e propri articoli.
Poi pensai più in grande: contattai alcune amiche, coinvolgendole nel progetto e il risultato fu grandioso. Da semplice sito diventò un vero e proprio lavoro di squadra, sinergia e creatività. Piano piano cominciammo a costruire sui social una certa credibilità, e in pochi anni cominciammo anche a creare contenuti multimediali e a movimentare la vita notturna padovana con eventi, feste e corner delle Cornacchie.
Abbiamo conosciuto e lavorato con moltissime realtà mainstream e indipendenti, tra cui il brand di sneakers D.A.T.E., il Vintage Festival di Padova e Lahar Magazine. Ora per vari impegni stiamo lavorando di più al lato editoriale ma non rinunciamo a dedicare energie a qualche progetto particolarmente valido”
La moda oggi tra social e tendenze?
“Sono una classe 81 e sono passata attraverso molti cambiamenti significativi nell’ambito della comunicazione. Dal primo cellulare all’era di Facebook se ne è fatta di strada, nel bene e nel male. In un senso più nostalgico mi piace pensare che un tempo le cose si ottenevano con più ricerca, sudore e olio di gomito. Non era tutto on demand, per usare un termine contemporaneo, e le intuizioni avevano una cerca unicità.
D’altra parte è anche vero che la potenzialità dei social è diventata utilissima nelle connessioni e nella promozione personale. Purtroppo, penso, il rovescio della medaglia è una sorta di labilità dei confini, cosa è vero contro cosa non lo è, cosa è copia e cosa è innovazione, notizia o gossip. Spesso mi capita di aprire Facebook e vedere commenti sgradevoli su notizie importanti: ma, per citare il buon Marshall McLuhan, che oggi come un tempo il medium è il messaggio, per cui la stessa fattezza del social produce un tipo di effetto, diverso da quello che produceva un medium passato. Sono dell’idea che per certi versi dobbiamo ancora evolvere un giusto approccio, siamo in una sorta di terra di mezzo, una fase di passaggio. Per quanto riguarda il mondo della moda chiaramente l’influenza di questi nuovi mezzi di comunicazione ha un ruolo fondamentale: da un lato veicola nuovi metodi espressivi, dall’altro diventa una vetrina continua dalla quale tutti attingono. Paradossalmente penso che la moda oggi sia molto vicina a ciò che succedeva in maniera convulsiva negli anni novanta, anche se trovare qualcosa di molto interessante è un po’ più difficile. Molti brand attingono dal passato in un “neverending vintage dejavu”, a volte creando cose meravigliose. Un colpo al cerchio e uno alla botte, insomma!”
Ma la moda è ancora un’eccellenza italiana?
“Difficile rispondere a questa domanda. L’eccellenza italiana, se intesa come qualità delle maison nostrane, è sicuramente una nostra specialità. Brand come Gucci, Versace, Prada, Valentino sono marchi solidi che hanno un’identità forte e sedimentata.
Purtroppo la delocalizzazione di molte produzioni è un dato di fatto (fatta eccezione per i vari atelier delle celebri case i cui gli abiti sono confezionati a mano qui in Italia): il made fuori dall’italia è una costante ormai, essendo chiaramente legato a un fattore economico. Delocalizzare è più economico, diciamo la verità.
Tirando le somme, penso che non si possa prescindere dalle leggi che regolano il mercato: dalla nostra abbiamo ancora figure come Miuccia, Donatella, Renzo e molti altri che riescono a guidare ancora brillantemente le aziende che hanno fatto la storia della moda per cui se di eccellenza di parla di eccellenza si tratta!”