Il Carnevale di Venezia è tra i più noti mondo, e le Maschere veneziane sono senza dubbio le più belle ed affascinanti della storia, da quelle misteriose e coloratissime in giro per la città a quelle della Commedia dell’Arte.
Il Carnevale di Venezia è tra i più celebri al mondo, caratterizzato dalle splendide e misteriose maschere veneziane che si aggirano per campi e calli della città ammirate da turisti e cittadini.
Colorate, decorate, semplici o più estrose, le maschere vengono associate quasi esclusivamente a questo periodo dell’anno ma a Venezia, questi particolari oggetti ornamentali sono strettamente legati alla tradizione artigianale dei mascareri e il loro uso è cambiato negli anni assumendo significati e importanze diverse.
Il legame tra Venezia, il suo iconico Carnevale e le maschere veneziane è antico e indissolubile: i primi accenni alle maschere veneziane risalgono al 1200, quando il Doge Enrico Dandolo raccontava di alcune donne di Costantinopoli che giravano per la città con il viso coperto. Primissime testimonianze e documentazioni risalgono però al XV secolo, quando fu riconosciuto il mestiere del “mascarero”, con tanto di statuto per questi pittori e targheri che imprimevano lo stucco sui volti dipinti.
Pittori e targheri costituivano una delle professioni più antiche di Venezia, che dal 10 aprile 1436 si dotò anche di una mariegola che ne regolamentava il lavoro.
Le maschere, realizzate in cartapesta e adornate da pietre preziose, colori e tessuti, diventarono da subito sinonimo di libertà d’espressione, trasgressione alle regole della Repubblica Serenissima, gioco, festa e possibilità di diventare chiunque si volesse. L’uso di questo travestimento, però, venne limitato con una legge specifica del 1268 in determinate occasioni, escludendo il Carnevale e altre feste ufficiali della città.
Ad esempio, era proibito l’uso delle maschere durante il cosiddetto gioco de l’ova, che vedeva uomini lanciare uova riempite con acqua di rose alle dame che passeggiavano in città. Non ci si poteva mascherare nemmeno nei giorni che precedevano il Natale o la Pasqua e non ci si poteva coprire il volto all’interno delle case da gioco o dei luoghi sacri. Unica eccezione era per le ragazze a cui, dal 1776, venne concesso di mascherarsi tutte le volte che andavano a teatro.
Già alla fine del 1700 erano circa 12 le botteghe di maschere veneziane di tela cerata e cartapesta: la più tipica era la Bauta, non solo maschera ma abito comune, spesso indossata per serate a teatro o nella case da gioco con tabarro, mantello scuro e tricorno in testa.
Considerata la maschera veneziana per eccellenza, la Bauta, è formata da una maschera vera e propria, dal cosiddetto “zendale”, una mantellina che copriva la testa e le spalle e da un tricorno. Questo tipo di travestimento – che permetteva perfino di deformare la propria voce per non farsi riconoscere, grazie a una particolare forma della parte della maschera che copriva la bocca – tra tutti quelli esistenti in città aveva il permesso di poter essere utilizzato dai veneziani anche in alcuni giorni in cui l’uso delle maschere era bandito dalla città come il giorno di San Marco, quello dell’Ascensione e il giorno in cui venivano eletti dogi e procuratori.
Altra maschera molto amata in città era la Moretta: una maschera di origine francese di forma ovale e ricoperta di velluto scuro che divenne molto popolare tra le dame veneziane. Volete conoscere una particolarità della Moretta? Questa maschera veniva tenuta ferma in viso mordendo un piccolo bottone tra i denti diventando, così, una maschera muta.
Con la caduta della Serenissima, nel 1797, il governo austriaco vietò l’uso delle maschere, che iniziarono una fase di decadenza fino a che, con il secondo governo austriaco, si tornò a permettere l’uso di questo ornamento durante i giorni del Carnevale.
La maschera veneziana, poi, si abbina a quelle della Commedia dell’Arte, un genere teatrale buffonesco dove gli attori improvvisavano sulla scia di un “canovaccio”. Quattro le maschere veneziane della Commedia dell’Arte: Colombina, Arlecchino, Pantalone e Lo Zanni.
La prima, legata amorosamente ad Arlecchino, è una servetta curiosa della vita della sua padrona, mentre il suo compagno dal costume iconico e variopinto, è un servitore semplice e povero, poco furbo ma sempre allegro, affamato e acrobatico, e la sua maschera è di origine bergamasca.
Pantalone, poi, è un vecchio mercante veneziano, sanguigno uomo di una certa età che ama sedurre le donne, taccagno e in rovina, spesso costretto a pagare i conti (e da qui deriva il detto “paga Pantalone”).
Infine Lo Zanni, antica maschera di origine veneta che rappresenta un facchino umile ma molto scaltro, senza fissa dimora e dalla doppia faccia, beffarda e avventurosa, tipica della Commedia dell’Arte stessa.
Ancora oggi Venezia le maschere continuano a far parte di una diffusa tradizione artigianale e culturale che vuole continuare a raccontare la sua storia. E noi lo facciamo a modo nostro, ma non smettendo mai di sostenerla e divulgarla!